1. Alcuni riguardano lo scrupolo come una virtù, anzi è un difetto dei più pericolosi. Dice Gersone che talvolta produce più male una coscienza scrupolosa, cioè più stretta del dovere che una coscienza rilassata.
2. Lo scrupolo oscura la mente, turba la pace, produce diffidenza, allontana dai Sacramenti, altera la sanità del corpo, guasta lo spirito. Ci sono persone che hanno cominciato con lo scrupolo, e finito con la dissolutezza, ed altri colla pazzia. Così S. Antonino. Fuggite dunque questo orribile veleno colla pietà, e dite con S. Giuseppe da Copertino: “Scrupoli e malinconia non voglio in casa mia.”
3. Lo scrupolo è un vano timore di peccare dove non vi è motivo di temere, ma lo scrupoloso non crede scrupoli i suoi timori e dubbi, ma verità. Bisogna perciò che creda alla sua guida, quando gli dice essere scrupoli.
4. Lo scrupoloso in Dio non vede che sdegno e vendetta. Bisogna dunque avvezzarsi a considerare in Dio l’attributo, di cui si fa maggior mostra, che è la misericordia. Questo deve essere l’oggetto dei suoi pensieri, meditazioni, affetti.
5. L’unico rimedio per gli scrupolosi è un’intera e generosa ubbidienza. Diceva S. Francesco di Sales che la nostra segreta superbia produce la continuazione degli scrupoli, perché si vuole preferire la nostra opinione a quella della nostra guida. Ubbidite dunque, conclude il Santo, non facendo altro raziocinio che questo: devo ubbidire; e sarete sanata da questa spaventevole infermità.
6. I figli mesti ed angustiati fanno un gran torto al celeste Padre, quasi mostrando che sia un cattivo servire a un Dio d’amore, e di bontà infinita.
Spi,2368b:T13
1. La confessione è un Sacramento di misericordia, onde bisogna accostarsi con animo lieto e pieno di fiducia. Insegna S. Francesco di Sales, che a chi si confessa ogni otto giorni basta un quarto d’ora d’esame, e meno ci vuole per il dolore. Basta anche più poco per chi si confessa più spesso; così il Santo.
2. Ancorché si dimentichino, o non si dicano alcune mancanze nella confessione, restano queste cancellate. Ecco un gran documento del Santo. Non bisogna inquietarsi quando non ci sovvengano i nostri mancamenti per confessarsi, perché non è credibile che un’anima, che fa spesse volte il suo esame, non lo faccia bene per ricordarsi i mancamenti che sono d’importanza. Non bisogna poi essere così teneri a volersi confessare di tante minute imperfezioni, dei piccoli e leggeri difetti; un abbassamento di spirito, un sospiro è bastante per cancellarli. Non dite dunque di avere peccati occulti, di cui non vi confessate: questa è arte del Demonio per inquietarvi.
3. Siate certa che quanto più vi esaminerete, tanto meno troverete. D’altro lato il molto esame stanca la mente, ed illanguidisce l’affetto.
4. Dopo la confessione rimanetevi tranquilla, e si proibisce assolutamente il dare luogo a qualunque timore per conto dell’esame o del dolore, o di qualunque altro motivo. Questi timori nascono dal nostro nemico, che cerca di amareggiarci un sacramento di conforto ed amore.
5. Dei peccati bisogna pentirsi, ma non turbarsi; il pentimento è effetto d’amore di Dio. Il turbarsi è effetto d’amor proprio; anzi nell’atto che ci pentiamo dei peccati di vero cuore, dobbiamo ringraziare Iddio di non aver fatto di peggio per sua misericordia; promettiamo poi una stabile emenda. Affidati solo alla divina Bontà, benché si cadesse mille volte al giorno, si deve sempre sperare e promettere una vera emenda. In un momento può fare Iddio, che le pietre diventino veri figliuoli d’Abramo, cioè gran Santi.
6. Il dolore dei peccati è posto nella decisione della volontà che detesta le reità passate, etc. e non vuole più ammetterne in avvenire. Per la vera contrizione dunque non fanno bisogno né lacrime né sospiri né sensibile commozione, anzi può essere in noi una santa e giustificante contrizione in mezzo alle più grandi aridità, che a noi sembrerà anzi insensibilità. Non entrate dunque in timore su questo punto.
7. Non fate mai sforzo alcuno per destare la contrizione, lo sforzo produce confusione ed oppressione di spirito, e non contrizione, anzi mettete il vostro cuore in gran pace. Dite amorosamente al vostro Dio che vorreste non averlo offeso, che col suo aiuto non volete offenderlo più: eccovi contrita. La contrizione è un effetto d’amore, e l’amore opera sempre tranquillamente.
8. Dice S. Francesco di Sales che l’atto di contrizione si fa in un momento, cioè con due rapide occhiate: l’una a noi, detestando il peccato, l’altra a Dio, promettendo emenda e sperandola dal suo aiuto.
9. Voi dite che vorreste avere la contrizione, ma non la potete averle. Risponde S. Francesco di Sales: 1) è un gran potere il poter volere; 2) il desiderio della contrizione è segno che vi è la contrizione. Il fuoco che è sotto la cenere, non si sente, non si vede, ma il fuoco esiste.
10. Dio non vi lascia conoscere la vostra contrizione per darvi il merito dell’ubbidienza, che vi dice di vivere tranquilla. Credete dunque umilmente, ubbidite generosamente, ed avrete una doppia corona. I Santi più grandi talvolta credevano di non avere né contrizione, né amore, ma nelle loro tenebre seguivano la luce dell’ubbidienza con eroica sommissione.
11. Non crediate di non essere contrita, né di confessarvi male, perché ricadete nelle stesse mancanze. Bisogna distinguere le mancanze. Quelle che nascono da una maliziosa volontà che ama il peccato, che vuole peccare, e continuare nel peccato si hanno da togliere vigorosamente. Ma le mancanze che nascono da sorpresa, da debolezza, da infermità, ci accompagneranno in qualche parte sino alla morte: di certi difetti, dice il nostro Santo, sarà molto il poter esserne privi un quarto d’ora prima di morire; ed altrove, bisogna soffrire i difetti del prossimo, ma anche i difetti nostri, ed aver pazienza nel vedersi imperfetti. Cerchiamo l’emenda, ma con pace e senza ansietà, perché non si può divenire Angeli prima del tempo
12. Allontanate il timore d’aver omessi dei peccati nelle confessioni generali o particolari, o di non averli dichiarati a dovere. Eccovi ciò che dice un grande Teologo. La Chiesa che è interprete dei voleri di Cristo, nelle nostre confessioni ricerca una integrità sacramentale, non materiale; la prima consiste nel confessare tutti i peccati, dei quali ci ricordiamo dopo un ragionevole esame proporzionato allo stato attuale dell’anima nostra. La integrità materiale consiste nella materiale dichiarazione di tutti i peccati da noi commessi, e del numero loro, e delle circostanze senza nulla omettere. La Chiesa esige la prima integrità, perché questa non supera le nostre forze, ma non esige la seconda, sapendo benissimo, che per quanto ci esaminiamo, sempre si fugge alcuna cosa, o sopra i peccati stessi, o sul numero, o sulle circostanze. Insomma ella non domanda ai fedeli, che una dichiarazione umile e sincera di tutto quello che loro viene in mente dopo un’opportuno esame, intendendo che la buona volontà dei penitenti supplisca allora all’involontario difetto di memoria. Fin qui il saggio Teologo.
13. Voi avete soddisfatto abbondantemente all’integrità sacramentale, onde cacciate tutti i timori e dubbi, come vere tentazioni.
14. Ritenete ancora, che quando a voi sembrasse di non aver fatte le opportune diligenze per l’esame, il confessore prudente ha supplito colle sue interrogazioni.
Spi,2368b:T6
1. La presenza di Dio è un mezzo da Dio stesso perfetto. Bisogna però procurare questa santa presenza con dolcezza, e senza sforzo o legame. Iddio della pace vuole tutte le cose fatte pacificamente, e per via di amore.
2. Solo in Cielo penseremo continuamente a Dio, ma nel mondo non è possibile: le occupazioni, le indigenze, la fantasia ce ne distraggono. Non bisogna dunque voler essere Angeli e Beati prima del tempo.
3. Credono alcuni di non avere la presenza di Dio, perché non pensano a lui; questo è un errore, se non pensate a Dio, operate per Dio in virtù del precedente indirizzo: è l’opera più pregevole del pensiero. Mentre il mendicante e lo speziale appresta la medicina per l’infermo, forse non pensa all’infermo, pure per lui opera e fatica, e la sua opera più giova e più piace all’infermo, che non il suo pensiero. Mentre voi studiate, leggete, mangiate, discorrete, non pensate a Dio, ma operate per Dio, e tanto basta per essere tranquilli, e meritare in ogni cosa. S. Paolo non dice di mangiare, di bere, e di operare col pensiero a Dio, ma coll’intenzione a Dio di glorificarlo ed ubbidirlo, il che si fa coll’indirizzo della mattina, o con altri atti di religione.
4. Bisogna spesso usare le orazioni giaculatorie. Queste suppliscono alla mancanza di tutte le altre orazioni, e tutte le altre non suppliscono alla mancanza di queste.
5. Le vostre giaculatorie poi siano d’ordinario di confidenza, e di amore, e senza sforzo.
6. Se passa del tempo notabile senza ricordarvi di Dio, o aspirare a lui, non vi turbate. Il servo ha fatto il suo dovere con merito quando ha fatto il volere del padrone, benché non abbia pensato al padrone. Ritenete sempre che più si pregia l’opera del pensiero, e che il pensiero è fatto per l’opera, non l’opera per il pensiero.
Spi,2368b:T4
1. Bisogna amare la meditazione, farla spesso sulla Passione di Gesù Cristo, cavandone soprattutto umiltà, pazienza, carità.
2. Se nella meditazione, o in altre preghiere abbiamo aridità, non bisogna turbarsi, né credere che Dio sia sdegnato con noi, anzi l’orazione avida d’ordinario è la più meritoria, piace meno a noi ma piace di più a Dio. Ricordiamoci che anche Gesù Cristo ha orato all’orto tra le agonie di morte.
3. Vi sembra talvolta d’essere in chiesa, e nell’orazione come una statua ed un candeliere. Ma ricordatevi che anche le statue sono di ornamento nelle case dei principi, come voi lo siete nella casa di Dio, ed i candelieri sono d’ornamento sull’altare. È sempre grande onore e felicità il solo potersi presentare davanti a Dio.
4. Quando voi con cognizione e con malizia non ammettete attualmente le distrazioni, non dovete fare ulteriori esami sulla cagione di esse per non inquietarvi inutilmente. Da qualunque parte vengano, cavatene invece motivo di merito coll’abbandonarvi tra le braccia di Dio. S. Francesco di Sales disse: “Ricevo in pace quello che mi manda il Signore. Se sono consolato, bacio la destra della sua misericordia, se arido e distratto, bacio la sinistra della sua giustizia”. Questo è il metodo migliore, perché come dice il Santo: “Chi ama l’orazione deve amarla per amor di Dio, e chi l’ama per amor di Dio non ne vuole né più, né meno di quello che vuole Iddio, e quello che a noi avviene è appunto quello che è voluto da Dio”.
5. Bisogna ritenere la seguente istruzione di S. Francesco di Sales; sarà fare bene orazione il tenersi in pace ed in tranquillità nella presenza di nostro Signore, o sotto i suoi occhi senz’altro desiderio, né pretesa, che d’essere con lui, e di renderlo contento...
6. Molti non fanno differenza tra Dio ed il sentimento di Dio, tra la fede ed il sentimento della fede, il che è un grandissimo difetto. Pare loro, che quando non sentono Dio, non siano alla sua presenza, e questa è una grande ignoranza, perciocché una persona che va a patire il martirio per Dio, non penserà in quel tempo a Dio, ma solo alla sua pena, ed ancorché non abbia il sentimento della fede, non lascia però di meritare in virtù della sua prima risoluzione, e fare un atto di grandissimo amore. Vi è gran differenza tra essere al presenza di Dio, e avere il sentimento della sua presenza.
7. Le orazioni vocali devono essere poche, ma fervorose. Non è il molto cibo, ma il cibo ben digerito che dà vigore. Più vale un solo Pater noster od un breve salmo detto tranquillamente e con affetto, che molte corone ed offici recitati così affrettamente ed ansietà.
8. Se recitando orazioni vocali, che non sono d’obbligo, Dio v’invita invece a meditare, seguitene l’impulso, perché fate un cambio migliore.
9. Bisogna andare all’orazione con raccoglimento e con pace, ma senza ansietà. La grande ansietà che avete nell’orazione di trovare qualche oggetto che consoli il vostro spirito, basta per fare che non troviate mai quel che cercate. Quando uno cerca con gran fretta ed avidità una cosa perduta, la toccherà colle mani, la vedrà cogli occhi cento volte, e non se ne accorgerà mai. Da questa vana ed inutile ansietà non ve ne può derivare altro che una grande stanchezza di spirito, e da questa una grande freddezza e stupidità dell’anima.
10. Non aggravate mai il vostro spirito con la troppa orazione sia vocale o mentale. Quando lo spirito sente noia o stanchezza, bisogna, se si può, interrompere o sospendere l’orazione, e sollevarsi alcun poco con qualche altra occupazione o discorso, od altro mezzo opportuno, e dopo ricondursi all’orazione. Questo è un gran documento che danno San Tommaso ed i Padri più illuminati, che bisogna praticare stabilmente. Dalla stanchezza di spirito, come udiste, ne viene noia, freddezza e stupidità nell’anima.
11. Non ripetete mai le orazioni, sebbene vi sembra d’averle dette con la mente svagata; non potete credere a che angustie può condurvi quest’uso di ripetere, che assolutamente vi proibisco. Voi avete abitualmente desiderio d’essere raccolta nell’orazione, e questo basta. Dio premia il desiderio ugualmente che l’opera.
12. Non dovete pur ripetere l’orazione, ancorché vi vengano pensieri contrari a quello che dite o meditate o contrari a Dio, anzi seguitela tranquillamente, come se nulla fosse, senza punto rispondere ai cani d’Inferno, che possono latrare, ma non mordere: il Demonio è un formidabile gigante con chi lo teme, ed un fanciullo imbelle con chi lo dispregia.
13. Sebbene passaste tutto il tempo dell’orazione nel ritirare la mente dalle tentazioni, e svagamente senza poter concepire un santo pensiero, avete fatto un’orazione tanto più meritoria quanto più fu dolorosa per voi, la quale vi rese simile a Cristo orante nell’orto, e sul Calvario. Ricordatevi che è sempre meglio il pane senza zucchero che lo zucchero senza pane; che dobbiamo cercare il Dio delle consolazioni, non la consolazione di Dio; che per essere grandi in Cielo, bisogna ora patire con Gesù, e per Gesù.
Spi,2368b:T3
1. Se siamo tentati, è segno che Dio ci ama, dice lo Spirito Santo. I più amati da Dio furono i più tentati. Disse l’Angelo a Tobia: Perché eri accetto al Signore fu necessario che la tentazione ti provasse.
2. Non domandate d’essere liberata dalla tentazione, ma domandate la grazia di Dio e la sua santissima volontà: chi ricusa di combattere, ricusa d’essere coronato. Fidatevi di Dio, e Dio sarà in voi, e con voi, e per voi.
3. Le tentazioni sono dal Demonio e dall’Inferno, ma l’afflizione che in esse provate è da Dio e dal Paradiso. Le madri sono di Babilonia, ma le figliuole di Gerusalemme. Disprezzate dunque le tentazioni, ed abbracciate l’afflizione con cui Dio vuole purificarvi e coronarvi.
4. Lasciate che soffi il vento, e non crediate che il rumore delle foglie sia lo strepito delle armi. È certo che un padre infinitamente amoroso, quale è Dio, non permette che i suoi figliuoli siano tentati, se non per loro merito e corona.
5. Quanto più dura la tentazione, tanto più è segno che non avete consentito. Dice pur bene S. Francesco di Sales: Se il Demonio seguita a battere alla porta del vostro cuore, è segno che non c’è entrato. Il nemico non fa strepito d’armi, né muove battaglia intorno a quella fortezza, che è già in suo potere.
6. Voi temete d’essere vinta nell’atto che siete vincitrice. Nasce il vostro timore dal confondere il senso col consenso, l’immaginazione colla volontà; il sentire la tentazione, col consentire alla tentazione; l’immaginazione d’ordinario non dipende dal nostro volere. Era S. Gerolamo nel deserto, e la sua fantasia lo portava sforzatamente a vedere le donne romane che danzavano, aveva il corpo freddo per le penitenze, e portava nel seno un molesto incendio per il fuoco della concupiscenza. Ma il Santo in queste feroci battaglie pativa, ma non peccava, era afflitto, ma non colpevole, anzi quanto più pativa, tanto più meritava.
7. Diceva perciò S. Antonio abate: Vi vedo, ma non vi guardo. Vi vedo, perché la fantasia rappresenta ancora quello che non si vuole, ma non vi guardo, perché la volontà non lo accetta, né le gradisce. Il peccato, dice S. Agostino, è tanto volontario, che se non è volontario, non è peccato. Il diletto del senso, e la forza della fantasia sono talvolta sì veementi, che sembrano assorbire l’assenso della volontà. Ma non è così. La volontà patisce, ma non consente, è combattuta, ma non vinta.
8. Più volte Iddio non vi lascia conoscere di non avere acconsentito alle tentazioni, affinché stiate a quanto vi dice l’ubbidienza. Quando dunque il Direttore vi dice che non consentite, o non avete consentito, dovete crederlo immancabilmente, e tranquillarvi senza temere o che egli non v’abbia ben intesa e conosciuta, o che non vi siate interamente spiegata. Questi sono artifici del Demonio per sottrarvi al merito dell’ubbidienza; se si dovesse badare a questi timori, ogni atto di ubbidienza sarebbe deluso, incerto, né più si guarderebbe Dio nella persona del Direttore.
9. Per commettere peccato mortale, ci vogliono tre cose: 1o materia grave, 2o piena cognizione dell’intelletto, 3o piena malizia della volontà. Questi riflessi serviranno a tranquillare il vostro cuore, quando vi verrà timore d’aver peccato, perché in un’anima, che teme Iddio, non si combinano queste condizioni, ma la tranquillità più stabile deve trarsi dall’ubbidienza.
10. Nelle tentazioni contro la fede e la purità non vi trattenete a fare atti contrari direttamente, ma data un’occhiata amorosa a Dio, occupatevi in cose esterne, e proseguite a fare ciò che avete alle mani, senza punto turbarvi, né rispondere al nemico, come non foste tentata. Così conserverete la pace del cuore, ed il Demonio sarà confuso, ancorché le tentazioni durassero tutta la vita, non vi turbate; crescerà la vostra corona, siate solo ferma nel disprezzare la tentazione ed il tentatore. Notano i più dotti Teologi e padri di spirito, che il disprezzo della tentazione è un atto contrario di opera.
Spi,2368b:T2
Il Lanteri, guidato dallo Spirito a sentire fortemente l’esigenza, nella Chiesa, di un mezzo pratico, accessibile alla gente di tutte le condizioni sociali (1), ed efficace, per aiutare tutti a far «far rivivere la fede, e riformare i costumi» (2), sceglie – anche in forza della propria esperienza spirituale – gli esercizi spirituali.
«... gli esercizi di S. Ignazio non consistono solamente nel passare alcuni giorni nella quiete dell’orazione, e nell’impiegare maggior tempo per attendere a Dio solo ed all’anima sola, ma consistono nel meditare una serie di verità, non comunque una dopo l’altra, ma una in conseguenza dell’altra, le quali unite con ordine
- presentano all’intelletto un’istruzione adattata, a ciascuno, e come completa di quanto si ha principalmente da credere ed operare verso Dio, il prossimo, e se stesso, e una vera fonte di verità e miniera inesauribile di sapienza divina;
- e presentano alla volontà, quanto al passato, una macchina potentissima per espugnare il cuore, ed un metodo efficacissimo per purgare l’anima dalle ree affezioni con farle conoscere, piangere e confessare; quanto al presente, una scienza pratica per avanzarsi con l’imitazione delle virtù quotidiana ed eroiche di Gesù, e un metodo canonico, ossia approvato dalla Chiesa per santificarsi grandemente; quanto all’avvenire, un piano di riforma interna ed esterna che dura.
Insomma gli Esercizi di S. Ignazio sono, in genere, uno strumento potentissimo della Divina Grazia per la riforma universale del mondo, ed in particolare, un metodo sicuro per ciascuno di farsi santo, gran santo, e presto» (3).
Ecco un altro brano nel quale il Lanteri descrive l’efficacia degli esercizi in ordine alla santificazione:
Cos’è farsi santo? È distruggere l’uomo vecchio e vestire l’uomo nuovo...; si debbono dunque lavare le macchie del peccato; si deve ristabilire la somiglianza, l’immagine di Dio, la quale consiste non nel somigliargli nell’onnipotenza, Sapienza, immensità, ma nella santità, cioè nel rendersi modello delle sue virtù...
- Essere santo vuol dire, quanto alla memoria, dimenticarsi di tutto il creato e non occuparsi che di Dio, trovare Dio in tutti gli avvenimenti, vedere Dio in tutte le cose, riferire tutto a Dio, essere sempre fisso in Dio, rassomigliare così a Dio stesso che sempre si occupa di se stesso, si compiace di se stesso, è beato di se stesso.
- Essere santo vuol dire, quanto all’intelletto, disprezzare tutte le cose terrene, stimare solo le eterne per venire così a stimare niente, disprezzare niente altro che ciò che stima o apprezza Dio stesso, e uniformare così i nostri giudizi con quelli di Dio, i quali soli sono giusti ed infallibili.
- Farsi santo vuol dire, quanto alla volontà, raddrizzare i suoi desideri e timori, cioè non desiderare né temere che l’eterno; non essere soggetto alle sue prave inclinazioni che fanno che l’uomo desideri o tema ciò che non deve né desiderare né temere, per essere inoltre [pronto a] tenere lontano dal cuore ogni perturbazione o mutazione, essendone la causa di queste il desiderio o il timore di cose terrene, e così venire ad avere un cuore quieto, tranquillo e immutabile... Ora tutto ciò si opera nei S. Esercizi.
Più ancora farsi gran Santo vuol dire essere disposto a praticare sempre nelle occasioni, atti eroici di fede, di speranza, di carità verso Dio, verso il prossimo, avere sempre per fine del suo pensare, parlare, operare la Maggior Gloria di Dio. Ora anche a questo ci portano i Santi Esercizi. [...]
Dunque lo scopo di questi Esercizi si è farci Santi, gran Santi e presto; e noi dobbiamo corrispondervi perché Dio lo merita, la vocazione lo esige, il mondo ne abbisogna e vi entra il nostro interesse. [...] Chi ci può essere utile fuori di lui fonte e sola fonte d’ogni bene? È ingratitudine enorme dunque non farsi santo» (5).
Sfogliando le lettere di direzione spirituale del Lanteri possiamo ritrovare la presenza della pedagogia ignaziana tra i vari consigli spirituali che aveva attinto dai grandi maestri della vita spirituale.
Tutto dev’essere fatto con ordine e metodo. E’ questo uno dei punti sui quali il Lanteri insisteva: ordine e metodo sia nell’agire (ordine delle principali azioni della giornata) sia nella vita spirituale. Tutto ciò in accordo con i doveri della persona verso la famiglia e il lavoro.
«E’ assolutamente necessario ben impiegare il tempo e santificare le nostre azioni. Ma come è possibile riuscirci? E’ con l’ordine che impieghiamo bene il tempo, e con il metodo, e lo spirito interiore (intenzione pura e fervore), e la vita interiore che santifichiamo le nostre intenzioni.
Occorre dunque 1) fissare un certo regolamento d’orario per le azioni principali... non mancando ad osservarlo per leggerezza o per ripugnanza se non per una valida ragione (per ragioni di obbedienza, di carità), e nella pratica preferire sempre le azioni più importanti verso gli altri, e quelle d’obbligo rispetto a quelle supererogatorie.
Occorre 2) procurarsi una vita interiore con un buona pratica di pietà, ma ben fatta, con metodo, come la Santa messa, la meditazione, la lettura spirituale, l’esame di coscienza» (1).
Il Lanteri è convinto, con sant’Ignazio e gli altri maestri di vita spirituale, che solo da un’orazione metodica si può ricavare qualche frutto concreto. Per la meditazione e gli esami di coscienza il Lanteri indica sempre il metodo ignaziano (2). Accanto ad essi troviamo indicazioni di metodo per la partecipazione alla Santa messa (3) e per la lettura spirituale (4).
Per quanto riguarda al fedeltà, in una lettera di direzione spirituale a Pietro Leopoldo Ricasoli il Lanteri esorta:
«Io non potrò mai per questo abbastanza raccomandarle la meditazione quotidiana delle massime sante di nostra Religione, ma fatta con vero impegno e con affetto, e proseguita con una santa ostinazione, e sempre, per quanto si può, in una data ora fissa del giorno. Gioverà poi molto a facilitarle un tale esercizio la lettura spirituale fatta ogni giorno tranquillamente sopra i libri scelti di pietà» (5).
Ad una dama penitente raccomanda:
«Fare gran caso della fedeltà negli esercizi di pietà, guardarsi da quel tacito disprezzo con cui si dice che non importa lasciare la meditazione, o la lettura, o l’esame etc., ora per compiacere agli uomini, ora per qualche occupazione o indisposizione. Sanno i demoni che se non tagliano allo spirito questi capelli, mai non potranno legare questo Sansone» (6).
E, a Suor Crocifissa Bracchetto circa la fedeltà alla meditazione scrive:
«Cominciarla con desiderio ed amore. Non lasciarla mai, né diminuirla per noia, o distrazione. Vale più un’oncia di orazione fatta con pazienza, che mille libbre d’orazione con fervore sensibile» (7).
Per quanto riguarda l’importanza degli esami (particolare e generale), così il Lanteri raccomanda ad una religiosa:
«Nell’ora del Vespro, procuri di fare il suo esame particolare sopra l’acquisto di qualche virtù, o l’emendazione di qualche difetto; essendo che la persona spirituale deve sempre avere in vista qualche nuovo acquisto di virtù, per cui deve ordinare il suo esame particolare ed il frutto di sue meditazioni e comunioni. Io molto le raccomando la pratica di questo esame, acciò l’anima sua non divenga simile alla vigna dell’uomo pigro, della quale dice il Savio che passò per essa, e vide che la siepe d’intorno era caduta e che ogni cosa era piena d’ortiche e di spine, onde, affinché l’anima sua non cada in così misero stato, sia molto sollecita di valersi di questo mezzo, né mai desistere, né perdersi d’animo per le difficoltà...» (8).
Per il Lanteri e per gli Oblati il “sentire con la Chiesa” significa «professare un’intera, sincera, ed inviolabile obbedienza all’autorità» della Santa Sede, ed un «attaccamento intero» al suo insegnamento. Una fedeltà che dev’essere capace di quello spirito di tolleranza che essa ha e che forma «uno dei suoi pregi» (1): «la facoltà di tollerare dei figli rivoltosi nell’atto stesso che solamente disapprova qualche dottrina: facoltà preziosa al materno suo cuore, finché Ella milita tra i Viatori e necessaria a chi “non è venuto per perdere anime, ma a salvare” (cfr. Gv 12,47)».
Questo Lanteri lo dimostrò in occasione dell’approvazione a Roma degli Oblati. Nonostante la sua avversione al gallicanesimo, non fu d’accordo con mons. Marchetti ad andare all’eccesso:
«Il sentire con Roma in generale vuol dire tenere per meglio, per certo, per probabile, per tollerabile quello che tale si giudichi dalla Santa Sede. Ora gli Oblati s’impegnano a sentire con Roma; dunque s’impegnano a tenere per tollerabile ciò che dalla Santa Sede si tollera» (2).
La Chiesa avvisa per tempo ciò che è dottrina definita, ciò che è condanna o che disapprova. Lanteri insiste a sentire «in omnibus con Essa» (3). Questo vuol dire che:
«disapprovando a suo esempio quelli che sono restii, li tollereremo finché la Chiesa li tollera, né giudica ancora di cacciarli di casa. [...] dunque per sentire in omnibus con la Chiesa Cattolica bisogna riprovare le loro proposizioni come le riprova la Chiesa, e tollerare gli individui che le professano come e finché li tollera la Chiesa» (4).
In altre parole egli fece sua la frase di Sant’Agostino: «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas» (5).
Gli Oblati – scrive il Lanteri - sono «pienamente a Maria Vergine dedicati» (1) e:
«si propongono di attendere seriamente alla salute e santificazione di se stessi per via dell’imitazione la più attenta di Gesù Cristo che si propongono per modello in ogni azione, unitamente agli esempi di Maria Santissima loro cara Madre» (2).
Il Lanteri vuole che per gli Oblati Maria sia modello, scala, scuola, aiuto per conformarsi a Gesù:
«In ciascuna azione hanno dunque sempre Gesù innanzi agli occhi; Gesù è sempre il loro compagno ed il loro modello, e si studiano d’imitarlo nel modo più perfetto, sia quanto all’interno che all’esterno, unitamente agli esempi di Maria Santissima, per rendere in questo modo, con l’intercessione di Maria più somigliante a Dio, l’immagine impressa nella nostra anima» (3).
Centrale alla devozione a Maria è l’attenzione alle sue virtù evangeliche per imitarla nel suo modo di vivere e così accogliere da lei Cristo e a lui conformarsi. Il Lanteri invitava i suoi Oblati a chiedere a Gesù e Maria...
«... una grande somiglianza ed unione con Gesù, ove consiste tutta la santificazione nostra, poiché così continuamente [gli Oblati] si esercitano a conservare la memoria non dissipata, ma dolcemente fissa in Gesù, ad assuefare l’intelletto a vedere e giudicare sempre ogni cosa secondo Gesù, a tenere la volontà sempre tranquilla ed unita a quella di Gesù. Insomma, così sono sempre in compagnia di Gesù, conversano sempre con Gesù, sempre uniti con Gesù nelle intenzioni e nelle azioni, e così diventano una copia viva di Gesù. Così Gesù forma l’unico tesoro del loro cuore; così Gesù abita nei loro cuori, ed essi abitano nel Cuore di Gesù» (4).
L’Oblato sa di trovare in Lei una madre nel suo progetto spirituale. Se
nte che tutta la sua identità nella Chiesa nasce da Maria, si svolge in Maria, prende forma concreta con il patrocinio di Maria, ed esprime questa convinzione chiamando Maria «la sua fondatrice». Maria è anche la sua maestra, che protegge la Congregazione da ogni errore di dottrina (5) ed esercita verso di essa «un’assistenza veramente speciale e mirabile» (6).
Sullo stemma degli Oblati leggiamo: «Mariam cogita, Mariam invoca». E’ una frase di San Bernardo che ci invita a contemplare la figura di Maria come ce la presenta il Vangelo, modello di disponibilità totale alla Parola e allo Spirito; e a invocare Maria, con una preghiera fiduciosa che sa rimettere alla sua materna intercessione tutto il nostro essere e agire.
Scorrendo le pagine degli scritti possiamo vedere che il Lanteri era convinto che l’autentica devozione a Maria ci ottiene diverse «grazie». Ne cito alcune:
a) ci protegge dal Maligno:
«… tutti ci tiene sotto la sua protezione, dei demoni che fuggono al solo suo nome» (1).
b) ci aiuta a superare la tentazione:
«Voglio avere un amore tenero verso Maria Vergine e confidenza in lei di figlio a sua Madre, e in grado tale, che mi paia impossibile che mi permetta di essere vinto e perisca in quella battaglia: ricorrerò dunque a Lei come un pulcino si ricovera sotto le ali di sua madre alla voce del nibbio vorace, e dopo l’atto d’amor di Dio dirò: “Monstra te esse matrem etc. Sub tuum præsidium etc. Maria mater gratiæ etc. » (2).
«Che se nonostante tutte le su accennate avvertenze qualche tentazione contro la purità li assalisse, prima di tutto ricorrano sollecitamente alla preghiera giusta l’avviso dello Spirito Santo. “Sapendo che non l’avrei altrimenti ottenuta, se Dio non me l’avesse concessa… mi rivolti al Signore e lo pregai” (Sap 8,21), e particolarmente invochino l’assistenza di Maria, né cessino di pregarla finché dura la tentazione» (3).
«Modo di vincerle: Fede, orazione, disprezzo, allegria, nomi santissimi di Gesù e di Maria, fortezza di cuore: Resistite fortes in fide; ...» (4).
E a Suor Crocifissa, spiritualmente turbata, il Lanteri scrive:
«Fidatevi più del vostro Celeste Sposo e di Maria Vergine, vostra cara Madre (e più specialmente vostra) quali io sono certo che vi vogliono perseverare da ogni colpa grave: non vi lasciate dunque turbare» (5)
c) ci preserva dal cadere nell’eresia:
«Il B. Liguori somministra pure le armi contro tutti gli errori correnti, e dà il mezzo di precauzionare se stessi e gli altri da simile peste, con eccitare e promuovere in ogni modo ed occasione una devozione filiale e tenera verso Maria Santissima, la quale sola può bastare contro ogni eresia, e di più con procurare una stima grande, ed un forte attaccamento con vero spirito d’obbedienza» (6).
Il Liguori stesso «non ha mancato di raccomandarsi a Dio ed a Maria Santissima per non errare» (7).
d) ci ottiene la grazia di una «stabile e vera compunzione di cuore» per i propri peccati.
«Invocate la protezione di Maria come rifugio dei peccatori, acciò vi ottenga una stabile e vera compunzione di cuore, ed a questo fine visiterete tre volte il suo altare recitando in ogni volta la Salve con aggiungere quel versetto: Fac me vere tecum flere, crucifixo condolere donec ergo vixero [“Fammi sempre piangere con te, condividere i dolori del Crocifisso, finché vivrò”]» (8).
e) ci dà la grazia di «morire interamente» a se stessi «e vivere totalmente per Dio e per il prossimo» (9).
f) ci ottiene di perseverare nel bene; (10)
g) ci ottiene l’amore per le virtù (11) e il desiderio di imitare Maria. E’ una convinzione che emerge, ad esempio, nella lettera che il Lanteri scrive ad una sua penitente e figlia spirituale, Leopolda Mortigliengo:
«Io penso che in questa novena della Santissima Vergine vi occuperete più che mai di allontanare da voi ogni scoraggiamento nel servizio di Dio... e che invece procurerete di esercitarvi con tutto l’impegno negli atti delle virtù teologali, come pure dell’umiltà e della dolcezza così care ai Cuori di Gesù e di Maria; perché in questo mistero dell’Assunzione noi troviamo un modello bellissimo di queste virtù, un invito dolcissimo a praticarle, una protettrice potente e sollecita ad aiutarci, ed una ricompensa al di sopra di ogni nostra aspettativa, perché sarà quella ricompensa medesima che fu data alla santa Vergine. Portiamoci dunque ora al letto della sua morte ad impetrare l’eredità delle sue virtù e soprattutto la febbre del suo divino amore e la sua benedizione…» (12).
E, scrivendole nel 1813 da Bardassano il Lanteri si augura che la novena a Maria le ottenga la grazia di iniziare ogni giorno e di vivere nella fede (13).
Nelle Massime indirizzate ad una dama penitente, probabilmente nobile e sposata di recente, il Lanteri suggerisce di chiedere a Maria le seguenti grazie:
«La generosità di animo, e la libertà di cuore nell’agire e nel soffrire, la fedeltà nelle risoluzioni fatte a Dio, la tranquillità, l’allegrezza, l’amore del prossimo, la compassione delle miserie altrui, la bontà, la pazienza, la longanimità, l’affabilità, la condiscendenza in tutto ciò che non è offesa di Dio; insomma l’essere mite ed umile di cuore, è egli carattere che mi prefiggo di avere e che domanderò continuamente al S. Cuore di Gesù e di Maria» (14).
Similmente, in un altro testo, leggiamo:
«Quanto ai sentimenti di superbia che vi assalgono, non dovete scoraggiarvene, ma disprezzarli sulla persuasione che ne siamo impastati, e chiedete a Maria Santissima l’umiltà…» (15).
Ancora, negli «Appunti» di discorsi sull’Assunta, leggiamo:
«Uno sguardo a Maria che muore d’amore per Dio. Desiderio d’imitarla; fa che arda il mio cuore. E’ assunta tra gli Angeli in cielo. Invidia di tenerle dietro; chiederle che almeno ci stacchi il cuore dalle cose di questa terra. Incoronata in cielo; oggetto di ammirazione poiché sopra Maria non c’è più che Dio, sotto Maria c’è tutto ciò che non è Dio; prostrarsi con gli angeli per venerarla. (…)
Maria Vergine fu incoronata in cielo come Figlia, come Madre, come Sposa; con triplice corona di Sapienza, di Potenza, di Bontà; con l’attendere all’orazione si partecipa alla sua Sapienza, con vincere se stesso si partecipa della sua Potenza, con la carità, cordialità, condiscendenza verso il prossimo si imita la sua Bontà» (16).
h) ci ottiene i «lumi» necessari:
- per vivere con fedeltà la propria vocazione:
«Professerò sempre una particolare e tenera devozione al S. Cuore di Gesù, ed a Maria Vergine, che sono le fonti di tutte le grazie, ad essi mi indirizzerò in tutti i miei bisogni, perché mi diano lumi e grazie necessarie, fermamente persuasa che è impossibile che essi mi abbandonino, e non si interessino per me» (17).
All’oblato Luigi Craveri che lascia la congregazione il Lanteri scrive:
«M. [Maria] V.ne cui Ella si dedicò in modo speciale unitamente con noi per promuovere questa sua Congregazione, non crederei che le abbia suggerito di lasciare uno stato di migliore e maggior bene da lei riconosciuto e confessato più volte per tale, e di contravvenire alle obbligazioni contratte con questa stessa Congregazione…» (18).
- per fare le scelte secondo la maggior gloria di Dio. Così, ad esempio, nella lettera del 12 gennaio 1816 indirizzata all’oblato Craveri, il Lanteri, dopo averlo informato che il Provicario è impossibilitato a dare gli esercizi a Casale, gli chiede se può darli lui al suo posto. E per tale scelta gli assicura:
«... mi restringerò a pregare il Signore e Maria Ss. perché le dia i lumi, ed aiuti opportuni» (19).
i) otteniamo la celeste Sapienza. Così il Lanteri invita gli Oblati:
«Riguardo al modo [dello studio] ricorreranno in primo luogo con l’orazione al Padre dei lumi e alla Madre della celeste Sapienza, perché vogliano illuminare la loro mente e fornirli della necessaria scienza» (20).
l) ci configura a Cristo:
«Il frutto… che incessantemente chiedono a Gesù ed a Maria, è una grande somiglianza ed unione con Gesù, ove consiste tutta la santificazione nostra» (21).
m) ci ottiene la grazia di vivere giorno per giorno, momento per momento, alla presenza di Dio:
«Conversar sempre con le Divine Persone. Desiderarle di presto vederle per amarle senza intermissione e non più offenderle. Maria Vergine e San Giuseppe ne ottengano l’esecuzione dal Sacro Cuore di Gesù, e la continua sua unione, compagnia e società. Te Deum laudamus» (22).
n) ci assiste nell’ora della morte:
«Io credo, io spero di salvarmi, benché colpevole ed ingrata. Voi, o Ss. Vergine, soccorretemi in questo pericoloso ed ultimo combattimento. Maria Mater gratiæ, Mater misericordiæ, tu me ab hoste protege, et mortis hora suscipe. Glorioso Patriarca S. Giuseppe, datemi questa grazia che io spiri l’anima nelle vostre mani, nelle mani di Gesù, e di Maria » (23).
Il ricorrere a Maria ci viene anzitutto insegnato dalla stessa Madre Chiesa:
«Dopo il ricorso alla Ss. Trinità ed alla Ss. Umanità di Gesù Cristo, la S. Chiesa ci insegna a ricorrere alla Ss. Vergine Maria onde soggiunge subito nelle Litanie Sancta Maria ora pro nobis.
Non mi tratterrò a dimostrare l’equità di questo giudizio e modo di procedere della S. Chiesa, la quale sempre assistita dallo Spirito Santo tutto ciò che fa sarà sempre ottimamente fatto; ed in verità quale maggiore convenienza che dopo l’invocazione alla Ss. Trinità c’indirizziamo subito a quella che è Figlia del Padre, Madre del Figlio, Sposa dello Spirito Santo?
Troveremo noi altrove titoli, prerogative ed eccellenza più grande o anche solo uguale a questa?» (1).
«La stessa S. Chiesa ci propone sovra tutte le creature, sovra tutti i Santi, sovra tutti gli Angioli a venerare Maria, esigendo a ragione della sua virtù ed eccellenza tutta particolare e superiore ad ogni altra; una venerazione ed un culto che chiama per questo culto Iperdulia. Dunque sola può dirsi veneranda a preferenza di tutti, e in conseguenza dobbiamo unirci alla S. Chiesa per invocarla particolarmente con questo titolo: Virgo Veneranda ora pro nobis» (2).
«...di questo culto si onora soltanto Maria Vergine per due titoli:
1. per i doni speciali di grazia e di gloria a lei comunicati sopra tutti gli Angioli e tutti i Santi;
2. a cagione della maternità di Dio e della prossima consanguinità con Gesù Cristo, Figliuolo di Dio, che il Suarez chiama quasi affinità con Dio. Si veda quindi:
1. l’obbligo d’avere particolare devozione a Maria Ss.ma, cioè ecc.;
2. il lucro cessante di coloro che trascurano tale devozione;
3. il danno emergente di chi biasima tante pratiche esteriori di devozione verso Maria approvate dalla Chiesa, perché è questo molto maggior peccato che biasimare le pratiche verso i Santi (3).
«... perciò rettamente ed utilmente noi veneriamo Maria Vergine ed i Santi per quelle sovrannaturali qualità partecipate loro da Dio, e noi li invochiamo come nostri Patroni, come amici di Dio e intercessori possenti presso Dio, non perché ci comunichino essi, ma acciocché colle loro orazioni suppliscano ai nostri difetti, e ci ottengano da Dio quel che chiediamo, poiché non sempre siamo degni e capaci di partecipare dei suoi doni e delle sue grazie (4).
«Maria – scrive il Lanteri – è costituita Madre da Dio stesso, perciò direi, tenuta agli uffici di madre e più di ogni madre, perciò vi fa da avvocata e mediatrice, e s’interessa per voi, siate sicuri, siete salvi; non può perire alcuno per cui s’interessi Maria. Dunque, devozione grande a Maria: v’entra il vostro interesse» (5).
La devozione a Maria deve portarci non solo ad amarla e ad onorarla, ma anche ad accrescere la fiducia in Lei e nel suo patrocinio:
«... ad Essa dobbiamo ricorrere ed in lei riporre tutta la nostra fiducia» (6).
«Sebbene Dio non ami le vostre mancanze e venialità, ama però la vostra persona. Ad una madre amorosa dispiace la debolezza ed infermità del figlio, ma ama il figlio, e lo compassiona, e lo aiuta; anzi quanto maggiore è l’infermità del figliuolo, tanto maggiore è l’aiuto che gli presta» (7).
Negli appunti dei discorsi sull’Assunta, il Lanteri ci indica con quale spirito deve essere celebrata la novena e la festa: quello di imitare Maria.
«1. Dimorare fra i cori degli Angioli, imparare da essi le grandezze di Maria Vergine che l’elevano sopra tutto ciò che non è Dio, e mettono ai suoi piedi tutto ciò che è inferiore a Dio, e dopo il suo ingresso in cielo, godettero un nuovo Paradiso in Paradiso; trattenersi particolarmente con S. Gabriele e quello che fu custode della Beata Vergine, prendendoli tutti per intercessori presso Dio e la loro Regina per ottenere la santa purità.
2. Trattenersi con i Patriarchi e Profeti che tanto sospiravano la venuta di Maria e che ne predissero tante belle cose, chiedere loro qualche cognizione di Maria; desiderare di vederne la sua gloria; imitare quel Santo che si protestava pronto a sostenere qualsiasi martirio per vedere anche solo di passaggio la gloria di Maria. Conversare particolarmente con S. Gioacchino, S. Anna, S. Giuseppe.
3. Passarsela con i Ss. Apostoli e Discepoli che furono i favoriti di Maria; imparare da essi ad amarla; trattenersi particolarmente con S. Giovanni Evangelista, e S. Luca.
4. Trattenersi con i Martiri che mettono ai suoi piedi le loro palme e corone, riconoscendola loro Regina, massime per quanto Essa soffrì nel suo cuore ai piedi della croce, animarsi a soffrire anche qualche cosa per Dio, giacché ogni minimo patimento è contraccambiato in così gran gloria in cielo.
5. Conversare con i Confessori che riconoscono la loro Santità, particolarmente da Maria, prendere la risoluzione di imitare le loro virtù, prenderli per intercessori presso Maria di una veloce santità.
6. Trattenersi a conversare con le Vergini, considerare i loro sforzi per resistere alle tentazioni e conservare la bella virtù della verginità: ricorrere alla loro intercessione ed all’intercessione della Vergine per eccellenza, per ottenere lo stesso.
7. conversare con tutti i Santi del vecchio e del nuovo Testamento che tutti si gloriano di riconoscere e venerare Maria Vergine per loro Regina, per chiedere a tutti che ci ottengano da Dio e da Maria la perseveranza nel bene» (8).
La devozione mariana non può allora rimanere a livello di bocca, ma deve diventare vita, opere, secondo la volontà di Dio.
«La vera devozione dev’essere religiosa, cioè tale da unire il cuore alla bocca e all’opera, altrimenti diventa un compimento vuoto e inutile. La devozione è la volontà pronta e decisa di eseguire tutto ciò che desidera la Santa Madre di Dio. In base a questa regola devono essere esaminati gli atti della devozione, se cioè procedono da questa volontà come effetti e segni, o ad essa dispongono come mezzi dei quali dobbiamo servirci per raggiungere questo ultimo scopo» (9).
E’ chiaro che «eseguire tutto ciò che desidera la Santa Madre di Dio» significa, come a Cana, fare unicamente ciò che vuole il Figlio da noi: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5).
Per il Lanteri non vi è affatto il rischio di «esagerare» nella devozione:
«Quanto alla devozione verso Maria Vergine si rifletta che non si può eccedere, 1. in onorarla, dacché il Verbo eterno volle onorarla qual sua Madre; 2. in amarla, dacché lo Spirito Santo l’amò a segno di volerla sua sposa; 3. in confidenza, dacché il Padre Eterno le confidò la cura del suo Unigenito» (10).
Maria è la creatura più amata dal Creatore, ma grande è anche l’amore con cui Essa ha corrisposto a Dio:
«Maria Vergine era la più santa di tutte le creature, dunque era la più amata dal suo Creatore. Essa fin dal suo concepimento, acceleratole l’uso della ragione, si voltò a Dio con una carità così infiammata, che non fu punto inferiore agli ardori di ogni massimo Serafino del cielo, indi poi sempre crebbe a dismisura tal vampa, che da sé sola più amava Dio, che non l’amavano le creature tutte unite insieme, angeliche e umane» (1).
Maria è la donna forte:
«Angustie, tentazioni, aridità, abbattimenti, tribolazioni, ingiurie, disgusti, affronti, ingratitudini, croci, contrarietà, e guai io me li aspetto, e anche da persone amate e beneficate, ma non li considererò mai come castighi, né mirerò mai la loro origine negli uomini, ma in Dio; so che nulla può accadere contro la volontà di Dio, so che questa è la strada che ha tenuto Egli stesso qui in terra, e per cui ha condotto i santi suoi più cari amici, anzi la sua stessa Madre per poi cotanto glorificarla in Cielo» (2).
E’ la creatura più umile sulla faccia della terra:
«... non fu forse la madre vostra Maria Santissima la più umile di tutti? Eppure immune la preservaste da qualunque neo di colpa» (3)
Maria – come dicono le litanie lauretane - è colei che ha vinto tutte le eresie (la “Cunctas haereses”):
«Regina degli Apostoli: essi, presi singolarmente, hanno predicato il Vangelo in tutte le parti del mondo, tu da sola col tuo potente patrocinio hai distrutto tutte le eresie in tutte la parti del mondo» (4).
Maria è causa precipua, dopo Gesù, della nostra salvezza, perché Dio stesso così ha stabilito:
«Basti l’accennarvi che sopra di Maria non v’ha più che Dio e sotto di Maria v’è tutto ciò che non è Dio. Basti il dire che può ben Dio creare un mondo più grande, più eccellente di questo, ma non può creare una creatura più grande della Madre di Dio, come si esprimono i Ss. Padri; è dunque chiaro che Maria è da venerarsi in modo affatto particolare dopo Dio, ella… è dopo Dio la sorgente di tutte le grazie e benedizioni, perché è la causa specialissima della nostra Redenzione, perché è nostra Corredentrice, perché dopo Dio è quella che più s’interessa per la nostra salute. Gloriamoci dunque di dire con la Chiesa: Virgo veneranda, ora pro nobis» (5).
Ella è nostra Madre:
«Dal momento che il Figliuol di Dio si fece nostro fratello primogenito, Maria Vergine divenne Madre di Gesù e Madre nostra, Madre di Gesù per natura, Madre nostra per adozione; e tale si fu questa parentela legale d’affetto, con cui ci adottò per figli e ci tenne per tali, che quasi sono per dire superò la parentela di sangue contratta col suo divin Figlio, mentre non solo si degnò di obbligarsi a farci l’officio di Madre, come se ci fosse Madre naturale, ma giunse di più, ed è che fin dal momento dell’Incarnazione del divin Verbo nelle sue sante viscere si offerse a patire ella per noi ogni cosa ed a soffrire tanti tormenti nella persona del suo divin Figliuolo, e non una, ma più volte…» (6).
Negli scritti del Lanteri si nota la predilezione a determinati titoli mariani: Maria assunta in cielo, Maria Mediatrice di tutte le grazie, Maria Madre della celeste Sapienza, ecc.
Maria è stata assunta in cielo per diventare la protettrice degli uomini rimasti sulla terra:
«Maria Vergine fu assunta in cielo, senza né lasciarci né mandarci niente di sua memoria, è vero: ma se n’andò per ricevere la sua dote che sono i peccatori, acciò l’eterno Padre avesse una persona umana e prediletta da rimirare, per cui si muovesse a compassione delle anime peccatrici» (7).
Profondo studioso delle opere di san Bernardo, di san Bonaventura e di san Alfonso, il Lanteri non poteva non mettere in risalto l’efficacia della mediazione di Maria:
«… la Chiesa usa presentarla in tutte le Icone degl Altari maggiori perché crede che da essa passano le nostre preghiere. Quibus te laudibus efferam nescio quia quem cæli capere non poterant, tuo gremio contulisti.
La sua autorità che può negarle, se ella gli è Madre, anzi talmente l’onora che non si concede quaggiù grazia che non passi per le sue mani, anzi ciò che egli è più veloce esaudirci, se invochiamo ella che non lui, non già perché sia più di lui, ma perché, essendo lui il Signore, il Giudice, discerne il merito di tutti, perciò quando qualche volta non esaudisce, giustamente lo fa, ma quando lo preghiamo a nome di Maria, non più riguarda i meriti del supplicante, ma l’intercessione, i meriti della Madre, e direi, anche i doveri che egli ha come figlio» (8).
«Per portare le anime a Dio bisogna farle passare per le mani di Maria, come le grazie di Dio passano per le sue mani benedette» (9).
Nella lettera ad una penitente, il Lanteri, da buon direttore spirituale, scrive:
S’impari ad andare avanti con i mancamenti, quindi presupponga anche di certo che ha da commetterne molti, poiché senza di essi servire Dio è concesso solamente in Cielo, e S. Francesco di Sales dice che la perfezione non consiste in non mai cadere, ma in rialzarsi subito, riconoscendo la nostra miseria, chiederne perdono a Dio, ma tranquillamente e senza meravigliarci, dicendo a Dio che la facciamo da quel che siamo, la faccia lui da quegli che è. Ciò che si deve imparare è cadere, sì, ma levarsi subito in piedi, domandando perdono, né mai stancarsi di rialzarsi, anche se cadessimo mille volte, perché se un fanciullo non volesse più rialzarsi e camminare, perché cade sovente o per timore di cadere ogni passo, mai più imparerà a camminare.
E perciò concepiamo un’idea grande della bontà di Dio, non misuriamola con la nostra scarsezza, figurandoci che si stanchi di tanta nostra instabilità, fiacchezza, dimenticanza, abbia da vendicarsi dei nostri peccati, toglierci gli aiuti, negarci le grazie, e per questo rispetto non ardire d’andargli [a] domandare perdono, quando si manca nei propositi. Non è tale il nostro buon Dio. Dio non ha bisogno di noi, se non per usarci misericordia. Attribuiamogli ciò che è suo, cioè l’essere buono, misericordioso, compassionevole, padre amorevole che ci solleva, non mai si stanca di perdonarci, che, anzi, gli diamo grande gusto ed onore quando gli andiamo a domandare perdono.
C2,125:T2
Sono tre le qualità della carità verso il prossimo: a) universale; b) sincera; c) deve riguardare non solo il bene temporale, ma anche quello spirituale. (...)
1) Tutti dobbiamo universalmente amare. Infatti tutti sono opera di Dio; tutti immagini di Dio, tutti uniti per l'umanità alla persona di Gesù, tuttida lui sommamente amati e finalmente tutti ci comanda espressamente di amare; uno solo che si disprezzi nel nostro cuore, sarà sempre vero che disprezziamo l'opera di Dio, l'immagine di Dio, un fratello di Gesù Cristo, l'oggetto dei suoi amori...
2) Amore sincero, cioè quanto ai mezzi, praticando ogni mezzo; impiegando tutte le facoltà dell'anima e del corpo. (...) Ci comanda Dio di amare il prossimo come noi stessi... ed è lo stesso che dicesse: "amate il prossimo... così sinceramente come amate voi stessi"; oguno sa che noi non ci amiamo con finzione, ma il nostro amore è sincero e reale; così dobbiamo amare il prossimo non con simulazione alcuna, non solo con espressioni e con parole, ma con opera ancora e con opere prestate non per qualche fine umano, per qualche interesse, ma con opere prodotte da un amore interno, sincero e reale...
c) Gesù è la fonte di ogni bene spirituale e temporale... Nel Padre nostro ci insegnò a considerare tutti come fratelli, a pregare per essi sempre che preghiamo per noi, e prima di tutto a desiderare per noi e per loro i beni spirituali, quindi i temporali, comunicandoli come Lui, sicut dilexi vos, cioè non solo quanto alla sostanza dei beni, ma anche quanto al modo, con quel cuore, con quel disinteressamento, con quel sacrificio generale di tutti i propri interessi per l'interesse del prossimo. (...) Comprendiamo dunque che siamo tenuti ad amare il nostro prossimo non solo quanto al suo buon essere temporale, ma molto più al suo ben essere spirituale (cosa che da noi così facilmente si dimentica e si trascura) che questa è la virtù particolarmente della carità raccomandataci da Gesù Cristo, il di cui officio è quello di prestarci scambievolmente quegli aiuti, quei mezzi che possono contribuire alla vita spirituale dell'anima.
Pre,2313a:T13-25
Guarda colui che ti guarda, ascolta colui che ti parla, ama colui che ti ama
Il vero palazzo dell'anima è la Divinità, la sua porta da per tutto si trova aperta, affinché facilmente possiamo uscire da noi stessi e dalle creature.
Questa porta è l'immensità di Dio che riempie tutto, che vede ogni cosa... ovunque l'anima può elevarsi ed alloggiarsi in quest'ammirabile dimora. le diverse perfezioni di Dio sono i diversi appartamenti del palazzo, ove siamo invitati ad entrare per ammirarne la bellezza e le meraviglie e dimorarvi finché vorremo. Bisogna ch'io apra a Dio le porte della mia mente, cioè la memoria, l'intelletto e la volontà perché in queste consiste l'immagine della Trinità, per queste l'anima si fa capace di Dio. (...)
Dio è presente all'anima assai più di ciò che ella è presente a se stessa; è presente nel nostro corpo assai più che la nostra anima; è presente a tutte le cose ed a noi in particolare assai più che un cristallo esposto al solo è circondato e pieno di luce.
Dio non solamente è nel luogo dove io sono, ma è particolarmente nel cuore del giusto e nel profondo del nostro spirito il quale esso vivifica ed anima con la sua divina presenza, stando ivi come cuore del nostro cuore, come spirito del nostro spirito.
Perché come l'anima sta per tutto il corpo... così Dio stando presentissimo a tutte le sue cose, assiste nondimeno in modo speciale al nostro spirito.
Ogni creatura mi avverte che vi è Dio perché porta il marchio del suo creatore e conservatore. Mi avverte che Dio è presente, perché è alloggiata nella sua immensità ed è dipendente dalla sua essenza.
Non dobbiamo immaginarci che solo con atti eroici di virtù si possa giungere alla perfezione, ma anche con le piccole azioni che secondo il nostro stato andiamo facendo da mattina a sera, possiamo certamente farne acquisto, se queste piccole azioni siano fatte con virtù... (...)
Infatti consistendo la perfezione nella carità, quanto più procurerà di accompagnare le sue azioni esteriori con l'interna carità, tanto più piaceranno al Signore, e saranno ad essa di maggior merito, al quale corrisponderà il premio che ne riceverà dal liberalissimo Iddio nella gloria.
Asc,2268a:T0,1
« (Gli Oblati) usano tutti i mezzi per conservare l’amore ed unione reciproca; perciò sono attenti a stimarsi vicendevolmente tutti, disposti sempre a qualunque sacrificio per non mai rompere la carità. Amano prevenirsi in ogni occasione, ed essere ammoniti da tutti dei propri difetti ».
Per ben praticare quest’unione,
1) si studieranno d’imitare, il più da vicino che potranno, la condotta del divin Maestro nel convivere con i suoi Apostoli e discepoli, ricopiando con ogni diligenza la sua dolcezza inalterabile in ogni occasione, e saranno solleciti di stimarsi ed amarsi tutti.
2) Procureranno di avere verso tutti una stima sincera, costante, e fondata sulla fede, non vedendo nei membri della Congregazione che altrettante immagini di Dio, e fratelli di Gesù Cristo.
3) L’amore poi, con il quale si ameranno, sarà un amore cordiale, quale si conviene a veri fratelli di una stessa famiglia; — un amore affabile, per cui facilmente e con piacere si comunicheranno i sentimenti di pietà e le notizie di studio; — un amore preveniente, godendo di potersi rendere all’occasione scambievolmente qualche servizio; ed infine un amore sofferente, sopportando facilmente i difetti fra di loro, senza dar segno di risentimento o di molestia, e dimenticando facilmente ogni offesa o disgusto ricevuto, perché la carità è un bene infinitamente superiore a qualunque altro bene. Né contenti di amar i loro fratelli come se stessi, procureranno ancora di amarli di più di se medesimi, per meglio imitare la carità di Gesù Cristo, che per eccesso di amore ha posto la vita sua per noi.
4) Intanto, per non dar luogo ad alcun raffreddamento nella carità, useranno le seguenti avvertenze; cioè: si guarderanno diligentemente non solo da qualunque avversione, ma anche dalle amicizie particolari, le quali raffreddano spesso l’amicizia con gli altri, e diventano facilmente viziose, non essendo d’ordinario fondate in Dio solo.
Parleranno sempre bene di tutti, abborrendo ogni ombra di detrazione in sé e negli altri, e si guarderanno gelosamente da ogni sospetto tra di loro, essendo questo come un vento di tramontana, che gela la carità nel cuore.
Interpreteranno tutto in bene, scusando nel loro cuore, e con gli altri l’intenzione, se non potranno l’azione.
Non contrasteranno mai con veruno, giusta l’avviso di S. Paolo1, ma, essendovi disparità di pareri, proporranno sempre le loro ragioni con modestia e dolcezza, per conservare la buona armonia con tutti, e la pace del cuore con se stessi.
Non s’immischieranno in modo alcuno nell’impiego altrui, di cui sanno non doverne egli render conto che al Superiore.
Si guarderanno dal parlare con chicchessia o riprenderlo con aria e tono da superiore.
Inoltre, per evitare maggiormente ogni sorgente di dissensione e raffreddamento nella carità, non solo saranno attenti a guardarsi da ogni amor disordinato alla roba, al proprio giudizio, al volere, ed al comodo privato, essendo tutte queste cose opposte all’amore comune di Dio, e del prossimo, ma saranno ancora premurosi di conservare l’uniformità in ogni cosa, nella dottrina, nel sentire, e nel volere, come pure nel vitto e nel vestito.
Saranno infine attenti a non raffreddarsi nell’amore di Dio, da cui dipende la pratica delle virtù, e massime della pazienza nelle occasioni di qualche disgusto, o di altro sinistro accidente, giovando questa molto a mantenere e fomentare la carità. Che se, nonostante tutte queste avvertenze ed attenzioni, alcuno si sarà lasciato sfuggire qualche parola, o tratto, che sia stato meno edificante, od abbia offeso chicchessia, procurerà di rimediarvi al più presto, e riconciliarsi subito, secondo la massima di San Paolo2.
5) Inoltre, quando avranno commesso qualche difetto, brameranno d’essere corretti da tutti e di essere conosciuti per difettosi, come pure saranno riconoscenti a chi li avrà corretti e contenti, che i loro difetti siano anche manifestati al Superiore da chiunque li sappia fuori di confessione.
6) Se poi vedranno difetti in altri, non se ne stupiranno mai, pensando a se stessi, e quando il difetto sarà patente, ciascuno si farà un dovere di carità di ammonire soavemente il compagno inter te et ipsum solum, come bramerebbe egli stesso d’essere ammonito. Prima però di parlare si ritirerà a far orazione.
1 "Ricordati di queste cose, scongiurando davanti a Dio che si evitino le dispute di parole, le quali servono solo alla rovina di chi ascolta" (2Tm 2,14)
2 "Il sole non tramonti sulla vostra ira" (Ef 4,26)
Domanda: E' facile crescere nella virtù e nella santità?
Risposta: E' più facile di quello che comunemente si crede perché se uno non è in stato di peccato mortale egli è in grazia di Dio.
Possiede, in conseguenza, la grazia santificante, che è il dono della carità abituale, che è una speciale partecipazione della natura divina, per cui egli non solo è caro a Dio, amico di Dio, ma è ancora figli di Dio di modo che Dio abita in lui ed egli abita in Dio ed è così unito a Dio che forma come una sola cosa con Dio. Cioè lo spirito stesso di Dio è quello che lo vivifica e lo regge per renderlo un dì pienamente beato.
Quindi ne segue per parte di Dio una speciale amorosa protezione per cui il Signore come ad amico e suo figlio diletto dà le sue grazie perché possa con maggior sicurezza e facilità conseguire la celeste beatitudine; per tale affetto più abbondanti gli infonde Iddio e tanti maggiori lumi alla mente e pii affetti al cuore e con più particolare assistenza lo dirige nell'esecuzione dei buoni propositi, lo custodisce in tanti pericoli sia spirituali che corporali; senza parlare di tante altre grazie esterne come sono le occasioni di ascoltare la parola di Dio, di accostarsi ai santi sacramenti, di tanti buoni esempi e simili, oltre ancora quei beni che in maggior copia partecipa come giusto nella Comunione dei Santi.
Laonde è evidente che se uno sta attento alle voci interne del suo celeste Padre, ed è sollecito ad assecondarne il suo spirito, non può non crescere nella virtù e nella santità.
Pre,2305d:T1